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    Bioplastica: caratteristiche, tipologie, pro e contro

    Dai rifiuti abbandonati sulla terraferma ai minuscoli frammenti negli oceani che distruggono gli ecosistemi marini e diventano parte della catena alimentare umana, l'inquinamento da plastica rappresenta uno dei problemi ambientali più urgenti degli ultimi decenni.

    Il ricorso alle bioplastiche sembrerebbe offrire una via d'uscita a questo disastro ambientale, ma cos'è la bioplastica? E quali vantaggi può garantire all'ambiente?


    Cosa sono le bioplastiche?

    Per capire cosa sono le bioplastiche, è bene partire dal significato di bioplastica, che nella sua più comune definizione è quel materiale che, al contrario della plastica comune prodotta a partire dal petrolio, ha origine interamente o in parte da materiali organici. Tra questi, il grano, le patate, l'amido di mais, la canna da zucchero, la canapa e la biomassa lignocellulosica, i quali hanno il vantaggio di essere completamente rinnovabili.

    Tuttavia, con il termine di bioplastica non si intende un unico prodotto, bensì una grande famiglia di sostanze simili alla plastica, che possono essere di origine biologica o biodegradabili o entrambe le cose. Ma per comprendere meglio questo aspetto, è opportuno fare un distinguo tra due concetti che molto spesso finiscono per essere confusi: quello di materiale biodegradabile e quello di materiale bio-based.

    Si dice biodegradabile un prodotto che, in presenza di particolari parametri ambientali, è soggetto a biodegradazione, cioè un processo naturale che avviene ad opera dei microrganismi presenti nell'ambiente, che attaccano il materiale trasformandolo progressivamente in acqua, sali minerali e anidride carbonica. Bio-based è invece un termine che riguarda la composizione del materiale e ne indica la totale provenienza da materiale organico o biomateriali.

    Questi due concetti permettono di specificare che, anche se la bioplastica nasce per essere più sostenibile e per dissolversi facilmente dopo un opportuno processo di biodegradazione, in alcuni particolari casi, pur provenendo da materie prime naturali, può presentare una struttura chimica che non le permette di essere biodegradabile al 100%.

    Per questo, oggi la definizione di bioplastica abbraccia tipologie di prodotti diversi, variabili in base alle materie prime da cui provengono, dalle proprietà del materiale ottenuto e dalla loro capacità di decomporsi nell'ambiente. Per capire quali siano i materiali degradabili e compostabili al 100% è dunque importante conoscere la differenza tra plastica e bioplastica e imparare a distinguere le diverse tipologie di bioplastiche presenti sul mercato.



    Bioplastica: come riconoscerla

    La bioplastica è spesso difficilmente distinguibile dal suo omologo in plastica: le due strutture, infatti, a prima vista si somigliano in modo sorprendente, tanto che anche un occhio attento potrebbe non notare la differenza. Dunque, come riconoscere la bioplastica e distinguerla da materiali non biodegradabili? Il modo più semplice è cercare la presenza del simbolo della bioplastica sull'etichetta, un logo che viene apposto sui materiali certificati per renderli facilmente identificabili a prima vista.

    La presenza di diversi enti di certificazione indipendente, però, ha fatto sì che nascessero diverse etichette, fra cui meritano una particolare menzione i loghi Seedling, DIN-Geprüft e OK Compost.

    Gli enti che li rilasciano, ai quali le aziende possono aderire su base volontaria, certificano le bioplastiche in relazione a una serie di standard piuttosto noti, i più importanti dei quali sono i criteri delineati da ISO, CEN e ASTM.

    Per quanto riguarda in particolare il materiale biobased, uno degli standard comunemente adottati è CEN/TS 16137:2011 del Comitato europeo di normazione CEN, atto a certificare il contenuto di carbonio biologico.

    In merito alla compostabilità delle bioplastiche, a delineare le linee guida è invece la norma europea armonizzata EN 13432 e/o EN 14995, la prima relativa al solo packaging, la seconda agli elementi plastici in generale.

    Nello specifico, gli standard EN 13432 e/o EN 14995 definiscono una bioplastica compostabile qualora, in un ambiente ricco di anidride carbonica, degradi del 90% entro sei mesi e se, a contatto con elementi organici, il 90% della sua massa si riduca in frammenti minori di 2mm nel giro di tre mesi. Il tutto con un contenuto privo di metalli pesanti e senza che il materiale possa inficiare il processo di compostaggio.

    Naturalmente, la rispondenza a uno standard e la conseguente apposizione di un logo di certificazione fanno sì che il consumatore possa identificare i materiali bioplastici in modo più chiaro, ottenere una garanzia aggiuntiva e avere linee guida precise sulle corrette modalità di conferimento nella raccolta differenziata.

    Ma è bene sottolineare che la certificazione non è il solo elemento di distinzione: tutte le bioplastiche sono contraddistinte da una serie di sigle che ne identificano i materiali e la capacità di decomporsi.


    Tipi di bioplastiche

    Le bioplastiche si dividono in tre grandi famiglie. La prima è quella delle bioplastiche biodegradabili, comprensiva di tutte quelle materie plastiche che, oltre a presentare una base biologica, hanno la caratteristica di essere compostabili.

    Questi materiali sono contraddistinti con le sigle PLA e PHA o PBS e la loro biodegradabilità, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è dipendente dalla struttura chimica dei polimeri e non dalla loro origine.

    La seconda famiglia è quella delle bioplastiche non biodegradabili, che comprende i polimeri ad alte prestazioni tecniche con base biologica - riconoscibili dalle sigle PTT o TPC-ET - e i materiali a base biologica totale o parziale, contraddistinte dai simboli PE, PP o PET.

    La terza e ultima famiglia è invece quella delle materie plastiche nate da risorse fossili ma biodegradabili, contrassegnate con la sigla PBAT.



    Esempi di oggetti in bioplastica

    Grazie alla possibilità di fornire prestazioni analoghe ai materiali plastici, i polimeri a base biologica e biodegradabili oggi sono adoperati in moltissimi settori.

    Esempi di oggetti in bioplastica sono individuabili davvero ovunque, soprattutto nell'imballaggio agroalimentare, un settore in cui l'alta percentuale di packaging usa e getta rende la bioplastica biodegradabile un'alternativa interessante ai classici imballaggi.

    Altri esempi di bioplastica sono le buste per frutta e verdura, i sacchetti compostabili in cellulosa, le cannucce biodegradabili ed alcune particolari reti porta agrumi. Ma l'applicazione dei polimeri a base vegetale si distingue soprattutto nei prodotti monouso, ovvero i bicchieri in bioplastica e i piatti in bioplastica, i quali, in presenza di adeguate certificazioni di qualità, possono garantire un'adeguata riciclabilità organica.

    Seguono lo stesso principio, le capsule per il caffè bio-based e compostabili, che permettono di ridurre il quantitativo dei rifiuti non riciclabili che finisce nella frazione del secco.


    Bioplastiche: vantaggi e svantaggi

    Anche se sulla carta è la soluzione più veloce per risolvere il problema legato all'inquinamento da plastica, i pro e contro della bioplastica sono diversi.

    Tra i vantaggi non si possono non annoverare i benefici a livello ambientale, come un'impronta di carbonio più bassa rispetto a quella necessaria per la fabbricazione della comune plastica, processi di fabbricazione che partono da materie prime rinnovabili e non ultimo la riduzione di rifiuti non biodegradabili nell'ambiente.

    Ma alla bioplastica compostabile sono associati anche degli svantaggi, legati all'incapacità degli utilizzatori di smaltirla in modo corretto o all'impossibilità, per alcun impianti di compostaggio, di favorire la biodegradazione. Inoltre, la bioplastica ha processi produttivi più costosi e non contribuisce a ridurre il ricorso all'usa e getta, un modello di consumo sul quale le principali associazioni ambientaliste continuano a puntare il dito.


    Differenza tra plastica e bioplastica

    Plastica e bioplastica si differenziano soprattutto per le materie prime da cui hanno origine, nel primo caso il petrolio, una fonte non rinnovabile e derivante da processi di estrazione inquinanti, nel secondo elementi vegetali naturali.

    Entrambe garantisco ottime performance in fase di utilizzo, ma la prima impiega centinaia di anni a decomporsi, mentre la seconda, se certificata compostabile, si decompone nell'ambiente nel giro di pochissimo tempo.


    Dove si butta la bioplastica?

    Smaltire gli elementi composti da polimeri a base vegetale è molto semplice. La normativa prevede che, se un prodotto in bioplastica è certificato come conforme alla direttiva UNI EN 13432, è considerato biodegradabile e compostabile, e può essere quindi conferito nella frazione organica assieme agli scarti alimentari.

    In caso contrario, le bioplastiche devono essere riciclate nell'indifferenziata, per questo, qualora le occasioni non consentano di fare a meno del monouso, è bene accertarsi che gli articoli usa e getta siano prodotti in bioplastica compostabile garantita da opportuni organismi di certificazione.

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